Il sottile filo di demarcazione, che là in basso
confonde il cielo al suolo, si era improvvisamente animato,
quasi la bocca della terra, avesse vomitato una creatura
rumorosa ed informe.
Gli anelli concentrici del tempo, riportavano
l’alito dei ricordi nella mente di Dessè,
disteso sull’apertura della torre di pietra, in
una attesa senza speranza.
I pungenti raggi di un sole non ancora risorto,
trafissero la verzura della valle sottostante, imprigionata ed
irrigidita in una custodia bianca scintillante, e definirono i
contorni di quell’ammasso, che tuonando, si avvicinava
rapidamente.
Non solo il rombo degli zoccoli dei cavalli, o
l’aria fredda ed umida, preludio di una stagione che stava
iniziando, sollevarono definitivamente Dessè dal suo torpore,
ma colpa forse dell’insinuarsi prepotente di una vivida ed
irragionevole sensazione di ansietà
I suoi occhi ora, non somigliavano più alle
celate della torre, ma ben spalancati, coglievano i dettagli
del gruppo che avanzava nella spianata sottostante alla grande
costruzione di pietra
Alla fine un tuffo nel passato: Lui lo aveva colto tra le
sue calde stoffe, sottraendolo da un anfratto della muraglia,
zuppo ed affamato, e con mano ferma gli aveva ordinato il
mantello in carezze meno rugose di quelle della lingua di una
mamma, rimastagli sconosciuta.
Il sole rifletteva in brevi abbagli i suoi raggi
sulle vesti metalliche e luccicanti del drappello, ferendo a
tratti la sua vista, mentre, l’umidità che sgorgava dal
terreno,
in una sorta di foschia lattea, aveva sigillato
il confine della spianata alle spalle dei cavalieri, quali
vibranti anime risorte alla luce.
Era proprio Lui alla testa del gruppo… era
finalmente ritornato.
Lo strazio del distacco, dell’abbandono, veniva
lentamente allontanato dal ribollire di sensazioni audaci ed
irrefrenabili che scuotevano profondamente il suo essere e non
gli consentivano al contempo nessuna reazione.
Senza rendersi conto, un acuto ed imperioso
richiamo trascinò Dessè attraverso la stanza, i corridoi la scalinata di pietra
a spirale, giusto in tempo per giungere al cortile interno,
dove i cavalli, scalpitando sul selciato, sbuffavano la loro
fatica in nuvole di vapore.
Dessè incontrò quello sguardo che ben conosceva,
e per nulla distratto dal vociare degli Umani indaffarati
nell’accudire dei nuovi arrivati, salito sull’onda più alta,
si lasciò trasportare, in una sorta di piacevole incoscienza
che lo conduceva solo a Lui.
Dopo tanto, finalmente era tornato.
Lui stava salendo i gradini velocemente, ed
entrato nella sua stanza, lo stupore stampato sul viso si era
trasformato in un largo sorriso, nell’avvedersi di avere Dessè
accucciato alle sue spalle.
Stesi sul ripiano morbido, Lui raccontava di
gesta, di battaglie e di scontri aldilà delle grandi acque,
mentre Dessè non
comprendeva molto e lo lasciava sfogare, unendo il suo ronfare
sordo, ai quei suoni, che sempre più lenti, fluivano dalla
bocca dell’umano.
Il tempo di un ultimo sospiro, il guizzare della
luce negli occhi e la quiete si prese l’infinito.
Il silenzio non era stato interrotto nemmeno dal
tonfo del sole, oltre la collina, che immergendosi nello
stagno, aveva
sollevato spruzzi d’oscurità.
Dalla trave che sporgeva sopra il focolare del
caminetto, nella solita posizione a testa all’ingiù, Carousel
si sgranchì le ali felpate, ed uscito dal suo sacchetto di
pelle, si immerse nelle tenebre all’esterno con il solito
zigzagare impacciato.
Dessè lo aveva sorpreso a terra da cucciolo, ne
aveva saggiato la consistenza misurandolo tra i baffi, e non
lo aveva neppure preso in considerazione, benché assomigliasse
ai tanti abitatori della torre e dei cunicoli nel
sottosuolo.
Lo sbatacchiare disordinato delle zampe
anteriori, curiosamente palmate, ed il rotolare goffo nel
tentativo di incedere, rendevano ai suoi occhi Carousel,
ridicolo ed indifeso.
Gli Umani vennero a chiamare Lui, mentre al
piano basso erano stati approntati lunghi tavoli, accese luci
infuocate sui muri e dalle cucine veleggiavano nei
chiaroscuri, odori assai attraenti.
Nello schiamazzare del salone, si udivano suoni
melodiosi che degli umani in disparte, traevano da prolunghe
dorate delle loro bocche, e da legni sporgenti dal loro
ventre.
Dessè stava acquattato su una panca di legno,
vicino al fuoco nel muro, le cui fiamme lambivano gli spiedi,
attendendo il momento propizio per sgraffignare qualche
avanzo, di cui intravedeva grande abbondanza sulle
tavolate.
Gli schiamazzi salivano sonori al cielo, sino a
disturbare la signora della Notte, che quasi di repentino,
velò la sua argentea luminescenza.
Tutto era tornato come prima, forse non era
cambiato niente dal momento che la mente di Dessè aveva
inchiodato la coda del tempo, imprigionandola in una immobile
felicità.
Anche Carriole partecipava alla mensa,
immergendo la sua buffa barbetta nelle ciotole e rovesciando,
con gli spuntoni sporgenti dal capo, quel poco rimasto
ordinato sui tavoli.
La sua rovinosa azione, proseguiva incessante,
e sempre più devastante man mano che leccava un liquido scuro
e scorrevole che impiastricciava abbondantemente tavoli e
pavimento.
Mentre gli Umani, stesi dappertutto alla
rinfusa, russavano sonoramente, ed i primi fuochi si
spegnevano sui muraglioni, stemperando la vista di un
disordine che regnava sovrano, Dessè si mosse a
banchettare.
Alla fine lo ballonzolare della borsa che
Carriole aveva tra le gambe, mentre si allontanava dalla sala,
ed il ticchettare degli zoccoli sulla pietra,
riportarono Dessè alla realtà
Improvvisamente la vita gli riesplose dentro, il
momento triste,
oppure
la solitudine e l’abbandono, si erano defilati senza
tracce.
Il cielo rilasciava una miriade di globuli
bianchi e leggeri che con il loro moto ondeggiante, avevano
ammantato le alture e la valle, di una spessa coltre
iridescente.
Dessè sull’apertura della torre, si lasciava
trasportare in sogni, quasi prigionieri del moto circolare
degli anelli concentrici del tempo.
Dapprima ovattato, poi regolare ed incombente,
il galoppo dei cavalli si fece sentire alla base della
spianata, ombre evanescenti, quasi un presagio di nuove
sventure.
I fuochi accesi nei muri tutte le notti, i
tavoli sistemati nel salone non per banchettare, ma per far
prendere posto agli umani dagli strani copri capi che ne
nascondevano parte della testa e del volto.
La sparizione di Lui, dal ripiano morbido in
cui riposavano, immerse Dessè in una fossa d’inquietudine che
non avrebbe mai voluto rivivere.
Non capiva perché ed era forse per questo che
non voleva darsi pace.
Lo aveva cercato in tutta la grande costruzione
di pietra senza trovarne traccia.
Poi una mattina, quando il vento scandagliava
gli angoli più nascosti, il suo sottile odorato gli aveva dato
l’orientamento, verso la parte più profonda delle
scalinate, dietro una pesante porta di legno. La Sua presenza
era inconfondibile.
Benché Lo avesse chiamato, ed avesse inciso
profondamente con le unghie il legno della barriera, nulla
aveva ottenuto a conforto della sua solitudine.
Rampini uncinati, ansia e ribellione si
miscelavano nei rari dormiveglia di Dessè, che non si dava
ragioni per questo nuova separazione.
Voci umane stridule e fastidiose, provenienti
dal basso, gli fecero assistere ad una rappresentazione assai
strana ed incomprensibile, mentre si teneva celato nell’ombra
la dove, le scale formano una grande ansa.
Lui era seduto davanti al grande tavolo e,
vestito di una minuscola stoffa lacera e strappata, rispondeva
in toni pacati e suadenti allo strepitare sconnesso e
minaccioso degli altri Umani.
Il Suo petto, eretto e potente, era chiazzato
di striature brunastre, mentre le sue mani erano imprigionate
in una morsa metallica.
Dessè si chiedeva del perché di tutto questo,
del
perché Lui dopo queste lunghe scene, venisse tradotto in
basso, dietro il pesante ostacolo di legno che ne attutiva i
rari sospiri.
Ora i sui pensieri turbinanti, cadevano a terra
come foglie secche e sentiva il desiderio impellente di
potersi appiattire, liquefare forse, e scorrendo tra le
sconnesse pietre del pavimento ricongiungersi con Lui aldilà
della barriera.
Prima che i raggi del sole stracciassero il
mantello notturno, Carousel rientrò con un fremito d’ali
e dopo alcuni giri sulla testa di Dessè lo risvegliò dal
profondo sonno.
Un bagliore quasi artefatto s’intravvedeva
sull’apertura della torre, ad illuminare le pareti di pietra,
ed il candore della spianata.
Là in alto Dessè era investito dalle ondate di
calore che si facevano gradatamente più intense e luminose.
Gli si spezzò qualcosa dentro, quando in un
flebile gemito riconobbe la voce di Lui in mezzo alle
fiamme.
Come le bollenti pulsazioni gli giungevano a
ritmo incessante, così Dessè, trascinato da pensieri
angoscianti, si trovò a confrontarsi con stimoli rabbiosi che
non gli lasciavano scampo.
Le vampate erano diventate insopportabili, e per
Dessè ora non
contava più nulla.
Tutto si stava esaurendo in una disperazione
senza controllo, senza contegno, senza fine.
Il futuro, abbandonato da Lui non aveva più
senso.
Carousel – amico di tanti giochi – insegnami tu
!
Dessè sentì per un attimo l’aria della notte sul
muso, ed in quel volo pauroso, fu inghiottito dal buio.
Il calore era al culmine, quando atterrato sulla
cima del palo che, con un cigolio sinistro si era abbattuto
sulle fascine incandescenti, lo aveva trascinato assieme a
Lui, in un turbine di scintille crepitanti, là sul terreno,
dove il fuoco aveva disciolto il manto bianco.
Si era aggrappato ai resti fumanti delle vesti
di Lui, in una serie di rotolamenti che sembrava non avesse
mai fine.
Le braci sfavillanti che impavesavano il suo
mantello nero, si spegnevano gradatamente, stemperandone il
colore in un grigio dai riflessi bluastri, mentre il cielo
aveva ripreso a lacrimare.
Avvinto a Lui, incastonato per sempre nel suo
corpo, ebbe la sensazione di una presa, di
un’ultima carezza dalla mano forte e scarna,
prima che la cenere, giunta al cielo, ricadesse a sigillare
un patto senza condizioni.
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